sabato 2 agosto 2008

buonanotte all'italia (l'incipit di un libro che un giorno vorrei scrivere)

Perché l’Italia è in declino?E’ la domanda che mi pongo da qualche anno a questa parte, da quando, cioè, mi sono cominciato ad interessare dei problemi del nostro paese.
Da troppo tempo l’ Italia è diventato il paese delle emergenze: emergenza rifiuti, emergenza economica, emergenza sicurezza. Nonostante ciò, il nostro paese continua ad essere ancora la settima potenza mondiale. Per quanto tempo, mi chiedo, riusciremo a mantenere questa posizione dignitosissima?
Il nostro paese è popolato da individui, in special modo i politici, i quali pensano soltanto al loro interesse particolare e mai a quello generale. E’ mai possibile andare avanti così?
Queste sono le domande che legittimamente si pone chi ama il proprio paese e rifiuta l’idea che esso possa essere tagliato fuori dai primi posti delle classifiche in materia di ricchezza, istruzione e vivibilità. Più ci si informa tramite i giornali, le televisioni e la radio e più ci si convince che il nostro paese continua a galleggiare grazie alla laboriosità, all’intelligenza ed alle specificità del popolo italiano.
L’amore per l’Italia: è questo l’elemento che sostanzialmente consente al nostro paese di resistere, nonostante tutte le sue difficoltà. Non so dirvi però se questo nostro “segreto” riuscirà a salvarci dalle varie crisi che incombono, quelle che ho appena citato e tante altre ancora.
Amare l’Italia significa tante cose: chi la ama si alza presto la mattina per studiare o lavorare, non soltanto per portare a casa uno stipendio o poter sbandierare in futuro una laurea, ma soprattutto perché crede che tramite il lavoro si possa migliorare la società giorno per giorno, mentre tramite lo studio sarà possibile migliorarla un domani.
Il nostro paese presenta immense specificità culturali ed io penso che sia fondamentale ricordarne una, ovvero il trionfo dell’ hobbesianesimo sull’aristotelismo. Essa è alla base della crisi del nostro paese.
In tutti i paesi moderni, la fiducia costituisce quel collante che tiene insieme la società. L’uomo è un animale sociale, ha interesse a vivere insieme agli altri uomini ed a viverci bene; la logica conclusione di tutto ciò è che in quelle determinate realtà territoriali il singolo, tendenzialmente, si fida del prossimo. Se tutti gli uomini, per istinto naturale, tendono a voler migliorare la società in cui vivono, io posso fidarmi del prossimo, potendosi applicare quello che in giurisprudenza si definisce principio della buona fede.
In Italia, viceversa, si è affermato il principio dell’ “Homo homini lupus”. L’intenzione del prossimo, secondo il nostro comune sentire, è quella di turlupinarmi, sopraffarmi, coventrizzarmi.
L’ istinto naturale dell’uomo è quello di assicurare le migliori condizioni possibili di vita a sé ed ai propri cari. Sulla scorta di questo ragionamento, logicamente, il terzo non può che essere considerato un nemico da distruggere.
Tale idea è stata ed è ancora oggi fomite di grandi disgrazie per il nostro paese. L’ Italia è come un grande Titanic: tutti si precipitano sulle le poche scialuppe disponibili, invece di pensare a tappare la falla ed a salvare tutti i passeggeri.
Sembra ovvio affermare, pertanto, che i problemi del nostro paese non dipendono soltanto dagli indicatori economici, oltremodo disastrosi.
In un paese che ha voglia di salvarsi dal declino, sono sufficienti pochi provvedimenti normativi ed economici al fine di scongiurare questa eventualità. Ma chi potrà mai salvare un paese che non ha voglia di salvarsi? La nostra pigrizia in tal senso si evince da tanti piccoli fatti. Un caso su tutti: ogni anno il Parlamento, su proposta del Governo, vara la cosiddetta legge finanziaria. Io non ho mai visto nessuno che si sia preoccupato di andare a verificare se le varie finanziarie potessero effettivamente migliorare la situazione del paese, mentre ho vinto tante (e forse anche troppe) persone che andavano a vedere quali penalizzazioni e quali benefici erano previsti nei loro confronti. Appena si toccano i privilegi di qualcuno si scatena il putiferio. L’ Italia è l’unico paese industrializzato in cui se si tolgono dieci euro al ricco per darli al povero non si è Robin Hood ma lo sceriffo di Nottingham. Amare l’ Italia significa saper accettare questi sacrifici, anche se imposti con l’unico scopo di risanare le finanze pubbliche; chi ama l’ Italia sa che il bilancio pubblico è anche il suo bilancio.
Se noi italiani riuscissimo almeno in parte a ridurre il nostro solipsismo, tutti gli altri popoli ci guarderebbero con invidia e desiderio di ammirazione.
Sono poco incline ad affermazioni apodittiche, poiché ho sempre pensato che in mancanza di argomentazioni sia difficile formulare una contestazione adeguata, e vi assicuro che per me il diritto di contestazione è sacro.
La storia ci insegna che il nostro paese ha vinto quando è stato unito, quando gli italiani hanno sentito che era doveroso raggiungere un determinato obiettivo. Sulla base di questa convinzione riuscimmo a fermare lo straniero sul Piave, riuscimmo a rialzarci economicamente dopo due guerre infauste e riuscimmo a far si che il nostro paese entrasse a pieno titolo in Europa, grazie all’adozione dell’ euro.
Oggi non riusciamo a porci un obiettivo da raggiungere ed è fondamentalmente per questa ragione che il nostro paese è entrato in una fase di declino profondo, per certi versi ineluttabile.
Il compito della politica sarebbe dovuto essere quello di cercare di unire il nostro paese, programmando degli obiettivi da raggiungere nel breve, medio e lungo periodo. Purtroppo, soprattutto nell’ ultimo periodo, il fine principale della politica sembra essere diventato quello di alimentare ulteriormente queste divisioni, per ragioni di carattere meramente elettorale.
Si tratta di un fenomeno che più volte è stato opportunamente criticato da Walter Veltroni: se io mi diverto a dividere la società, posso intestarmi le lotte di un frammento di essa e quindi continuare a sopravvivere in termini elettorali. Oggigiorno assistiamo al proliferare ed al diffondersi di una miriade di partiti e movimenti ispirati a questo principio: la Lega Nord contro l’ Mpa, i comunisti contro i forzaitalioti, il movimento laico contro quello cattolico, ecc.
Amare l’ Italia significa pensare al futuro e non soltanto al presente. Ma gli italiani, purtroppo, sono più per la filosofia dell’ hic ed nunc; i partiti politici, fortunatamente non tutti, anche in questo caso non hanno fatto altro che adeguarsi al comune sentire, invece di prende decisioni giuste sebbene impopolari. E’ più giusto pensare soltanto ai pensionati di oggi fregandosene di quelli di domani oppure cercare di trovare un compromesso nell’ ambito delle esigenze degli uni e degli altri?
Chiunque abbia a cuore il destino del proprio paese, sa che la seconda soluzione è quella corretta.
Anche in questo caso, purtroppo, l’hobbesianesimo continua a dominare incontrastato; pur di difendere il consenso elettorale, alcuni partiti sono arrivati al paradosso di scendere in piazza contro quello stesso governo di cui facevano parte. In presenza di situazioni simili è lecito pensare che oramai siamo alla frutta, anche se in molti comincia ad allignare l’idea che ormai sia stato servito anche il dolce.
Già negli anni 70’ finì la cosiddetta età dell’ oro, un periodo caratterizzato da un elevato sviluppo, bassi tassi di disoccupazione e benessere diffuso. Il mondo intero capì che era impossibile accontentare tutti, a fronte dell’esiguità e della limitatezza di tutta una serie di elementi, petrolio in primis. Questa frenata
dell’ economia mondiale ha avuto effetti molto gravi nel nostro paese.
I nostri lavoratori assistettero ad un totale cambiamento di rotta, dal punto di vista economico e dal punto di vista della tutela giuridica.
Per quanto concerne il primo aspetto, vi sono due aspetti di fondamentale importanza: il venir meno del principio giurisprudenziale dell’ onnicomprensività della retribuzione e la definitiva ricusazione della nozione di salario reale.
Tutti noi, analizzando qualsiasi busta paga, noteremo che vi sono diverse voci retributive (minimi,superminimi,indennità,maggiorazioni,ecc.). Molte di queste voci, come per esempio le maggiorazioni per lavoro straordinario, sono calcolate proprio sulla base della retribuzione di base, detta retribuzione-paramentro. Al fine di accrescere l’importo di queste varie voci, la giurisprudenza per lungo tempo ha dettato il principio secondo il quale per retribuzione- parametro si deve intendere l’intera retribuzione, il cosiddetto principio di onnicomprensività della retribuzione. Ma già a partire dagli anni settanta, e segnatamente negli anni novanta, si avvertì una forte esigenza di riduzione del costo del lavoro; il suddetto principio giurisprudenziale venne cassato e così vi fu una prima penalizzazione per i lavoratori. Si tratta di una prassi ancora oggi largamente diffusa, assurta a vero e proprio precetto normativo nell’ambito del d.lgs. 66/2003, laddove si è stabilito che il lavoro straordinario può essere retribuito non soltanto in termini monetari ma anche tramite riposi compensativi.
Sebbene nel nostro ordinamento giuridico non sia mai stato presente il principio del salario reale, esso era presente in via consuetudinaria; per lungo tempo si è affermata la prassi secondo cui, una volta stabilito un certo rapporto tra prestazione lavorativa e controprestazione retributiva, tale rapporto non potesse subire delle modifiche in senso peggiorativo per il lavoratore. Oggigiorno la contrattazione collettiva ha perso la sua funzione primaria di stimolare i consumi, assicurando a tutti un’esistenza libera e dignitosa. Ciò è dipeso in massima parte dall’atteggiamento delle imprese, le quali non si sono rese affatto conto di fare del male non soltanto ai lavoratori ed all’ Italia ma prima di tutto a loro stesse. Se i salari e gli stipendi restano fermi, i consumi non possono certamente aumentare. E’ assolutamente doveroso sostenere le nostre imprese e le nostre esportazioni, purchè vi sia una più equa distribuzione della ricchezza. Se ciò non sarà fatto, la storia incontrerà un lungo tornante e girerà bruscamente, facendo riemergere rancori e lotte di classe che tutti noi pensiamo siano ormai state superate.
Fino alla fatidica data del 9 novembre 1989 vi fu un forte atteggiamento di chiusura da parte dei vari stati nazionali, impegnati a risolvere i loro problemi interni e poco propensi ad accollarsi quelli di carattere internazionale o comunque extrastatale. Oggi ci troviamo in una situazione molto diversa, siamo nell’età della globalizzazione ; essa ha permesso a tantissime realtà territoriali di crescersi e prosperare ma ha anche cancellato le frontiere ideali del mercato e dell’ economia.
Oggi, infatti, non si può più dire che un problema dell’ America riguarda solo e soltanto l’ America. La crisi dei mutui subprime, paradossalmente, ha prodotto più danni in Europa che in America, visto il calo della fiducia degli analisti. Vi sono state immissioni di liquidità da parte delle varie banche superiori, nel complesso, alle somme erogate dalla Federal Riserve nel corso della crisi del ’29. La globalizzazione ha inflitto il colpo finale ai nostri lavoratori i quali, al fine di combattere il fenomeno del social dumping(concorrenza al ribasso dei lavoratori stranieri), sono stati costretti ad accettare condizioni contrattuali peggiori rispetto al passato. Le imprese ricorrono sempre più alla delocalizzazione ed i lavoratori italiani, al fine di restare competitivi sul mercato, sono costretti ad accettare condizioni di lavoro molto simili a quelle dei lavoratori orientali. Le grandi potenze orientali, Cina ed India in testa, tramite l’abbattimento del costo del lavoro sono riuscite ad attrarre investimenti ed a crescere in maniera vertiginosa; se a tale crescita economica farà seguito anche un miglioramento delle condizioni dei lavoratori, c’è da temere che tra qualche anno saranno i lavoratori cinesi a doversi adattare ai nostri standard.
Tali problemi avrebbero dovuto comportare un rafforzamento dell’unità nazionale, un’unione di intenti volta alla salvaguardia dell’economia italiana ma anche europea. E’ stata scelta la strada peggiore, fatta di chiusura, dazi e conservatorismo, teoria ben esposta nel libro “La paura e la speranza” di Tremonti, pacchianamente simboleggiata da quei manifesti della Lega Nord con la dicitura “Loro non hanno potuto mettere regole all’immigrazione clandestina, adesso vivono nelle riserve”, riferita agli indigeni del Nord America. Non si è purtroppo capito che gli effetti nefasti della globalizzazione possono essere eliminati soltanto tramite un accordo su scala internazionale, così come internazionale è stato quell’ accordo, il WTO, che può considerarsi il padre putativo del fenomeno suddetto; ciascuno stato ha invece cercato di risolvere internamente ed a modo suo il problema. Se si costruiscono delle barriere lungo tutta la scogliera,è molto difficile che l’acqua passi; ma se, di converso, le barriere vengono innalzate soltanto in una parte di essa, l’acqua scorrerà ai lati. Il mondo è ormai globalizzato e se l’ Italia proverà da sola a tirarsi fuori dalle regole del mercato, esso semplicemente la sommergerà.

Continua...